La qualità del cibo che mangiamo è argomento che tocca tutti da vicino e ci coinvolge nelle scelte che facciamo, quotidianamente, in materia di alimentazione. Ecco perché incalzanti domande e provocazioni varie hanno fatto da cornice al secondo Cafe dedicato alla Sicurezza alimentare, lo scorso 26 marzo presso il BUG18 di Milano. Nessun si è potuto chiamare fuori su una questione che influenza, in senso ampio, le nostre scelte di vita.
Il tema su cui lavorare
“Quando si parla di sicurezza alimentare, si intende la certezza che un cibo non ci faccia male”. Con queste parole Sara Panseri del Divet (Dipartimento di Scienze Veterinarie e Salute Pubblica della Facoltà di Medicina Veterinaria della Statale di Milano) ha aperto il dibattito su uno dei temi più scottanti di Hacking Health Milano. Perché, come è emerso durante la serata, il problema deve essere affrontato a diversi livelli. Partendo dalla provenienza di un alimento fino ai metodi di produzione, senza tralasciare le fasi di imballaggio, distribuzione e conservazione (soprattutto in ambito domestico).
Il contesto in cui muoversi
Un Europa in cui la legislazione non è uniformata rende tutto più complesso. Si trovano, infatti, posizioni differenti rispetto a quello che si può o non si può fare in campo alimentare. Malgrado in Italia le leggi e i controlli siano molto severi rispetto agli altri Paesi, resta il fatto che le importazioni ci espongono a cibi potenzialmente dannosi. La filiera corta sembrerebbe una soluzione, ma anche in questo caso solo una corretta informazione può metterci al riparo da eventuali pericoli. Un esempio riguarda la certificazione biologica: essa è relativa al processo di produzione e non al prodotto finito, che in vari modi potrebbe essere comunque contaminato (per esempio dalla vicinanza con terre non coltivate in regime bio). Nella questione dell’informazione rientra anche una maggiore attenzione rispetto alle qualità nutrizionali di un alimento che si associa a nuove norme sull’etichettatura. Le etichette dovranno contenere informazioni più chiare a riguardo, soprattutto rispetto all’uso di grassi idrogenati, e dividere in modo netto tra informazioni obbligatorie e facoltative. Infine, una volta operata una scelta consapevole di ciò che si acquista, resta aperta la questione di corrette pratiche di conservazione a casa, fattore non secondario e in cui il consumatore è responsabile della propria salute in modo diretto.
Il problema da risolvere
Su cosa potranno lavorare i partecipanti dell’hackathon di maggio? Certamente nel cercare soluzioni per rendere alla portata di tutti le informazioni nutrizionali: sono molte e al momento non sembra esistere un indice che le raggruppi, in grado di fornire un unico dato di valutazione. Potranno, poi, mettersi alla prova nel trovare un sistema di comunicazione efficiente, che permetta al consumatore di scegliere consapevolmente il cibo che acquista, agganciando gli alimenti a banche date e a sistemi di informazioni semplici e fruibili. Non ultimo, c’è il problema dell’ignoranza diffusa rispetto ai cicli biologici, che porta a richiedere frutta e verdura fuori dalla loro stagione naturale, con incidenza sulla loro qualità, ma anche sulla sostenibilità ambientale di tale domanda.